Dopo la fase programmatica della manovra di bilancio svoltasi prima dell’interruzione estiva che ha visto il Governo impegnato nel dialogo con le Istituzioni Europee, è arrivata sugli scranni parlamentari la bozza del disegno di legge di bilancio: una folata di vento ghiacciato in una tiepida giornata di ottobre Romano.
Prima di addentrarci nell’esegesi delle poche e scarne disposizioni dedicate ai Nostri Settori di Comparto, sembra doveroso premettere che nel Piano Strutturale di Bilancio di medio termine scorgiamo quelli che dovrebbero rappresentare gli obiettivi programmatici di questo Governo, ossia “assicurare maggiori spazi di bilancio per gli investimenti” e quelli che rappresenterebbero i risultati conseguiti rispetto al miglioramento della stima del saldo della Pubbliche Amministrazioni nel 2024. Focalizzando l’attenzione precipuamente su tali ultimi risultati, a nostro avviso fortemente decontestualizzati dalla vera realtà che affligge il Paese, si apprende niente meno che nel 2024 si è registrata una “notevole crescita dell’occupazione” e un “aumento delle retribuzioni medie”.
Ancora, il piano “mette al centro il lavoro, presidia il sistema di ricerca e innovazione tecnologica (…), agisce sui processi amministrativi e sul funzionamento della pubblica amministrazione, accompagna l’evoluzione del mercato del lavoro e del welfare”.
Iniziando dagli obiettivi raggiunti, rammentiamo che il tasso di disoccupazione italiana si attesta tra le più alte in Europa e che l’aumento delle retribuzioni medie, derivante dal taglio del cuneo fiscale, rappresenta un dato da parametrare al passo galoppante del tasso di inflazione e alla consequenziale perdita del potere di acquisto dei salari medi e non solo!
Non sarà quindi bastevole l’aver reso strutturale il taglio al cuneo fiscale per combattere il caro prezzi e per confermare il trend in “crescita” delle retribuzioni medie.
Altrettanto insufficiente, sul fronte degli obiettivi programmatici, appare la prima previsione normativa della legge di bilancio di competenza dei nostri Settori laddove all’art. 18 si prevede la Possibilità di superare i fantomatici limiti di spesa relativi al trattamento accessorio di cui all’articolo 23, comma 2, del decreto legislativo n. 75 del 2017 “secondo criteri e modalità da definire nell’ambito dei contratti collettivi nazionali di lavoro e nei limiti delle risorse finanziarie destinate a tale finalità (…)”. Il trattamento accessorio, spesso trascurato, rappresenta una componente fondamentale della retribuzione dei dipendenti delle Università, degli Enti pubblici di Ricerca e delle Istituzioni AFAM che comprende indennità e bonus legati a funzioni specifiche o a condizioni particolari di lavoro. L’esiguità dell’aumento previsto dalla legge e la sottoposizione all’elemento accidentale della condizione sospensiva “possibilistica”, lo rende una boccata di ossigeno presa da un boccaglio annacquato!
Ancora, non troviamo riscontro nel testo del disegno di legge all’obiettivo di “mettere al centro il lavoro e presidiare il sistema di ricerca” laddove il successivo art. 19, comma 2, continui ad allocare a carico dei fondi degli Enti nuovi e ulteriori oneri per i rinnovi contrattuali con incremento della quota percentuale costituita dal costo del personale e riduzione delle risorse “libere” da destinare alle attività istituzionali di ricerca.
Particolare attenzione va posta poi sulle previsioni contenute nell’art. art. 110 commi 1, 5, 11, 12 e 13 che introducono una stretta sulle assunzioni nella P.A. Un intervento questo che mina ulteriormente la già critica situazione del personale pubblico in Italia e in particolare delle Istituzioni Universitarie, degli EPR e delle Istituzioni Afam. La norma prevede che, per il 2025, le amministrazioni con oltre 20 dipendenti a tempo indeterminato possano sostituire solo il 75% dei lavoratori che raggiungano l’età pensionabile, tornando a un turnover pieno (100%) solo a partire dal 2026.
In aggiunta alla limitazione del naturale e indefettibile turn over, per “accompagnare l’evoluzione del mercato del lavoro” prevista dal disegno di legge di bilancio, scorgiamo la previsione dell’art. 23, comma 5 che introduce il trattenimento in servizio, “previa disponibilità dell’interessato, nei limiti del dieci per cento delle facoltà assunzionali autorizzate a legislazione vigente, non oltre il settantesimo anno di età”.
Sembrerebbe ravvisarsi un qualche velo di contrasto tra l’obiettivo di favorire il ricambio generazionale e l’evoluzione del mercato del lavoro e quello di trattenere in servizio le “vecchie leve” fino al compimento dei settanta anni.
Infine, si scorge una previsione speciale di finanziamento al CREA dettata dall’art. 82, comma 1 del disegno di legge di bilancio che “al fine di proseguire nelle attività di ricerca finalizzate alle sperimentazioni mediante tecniche di editing genomico (…)” prevede “un contributo di 3 milioni di euro per ciascuno degli anni 2025, 2026 e 2027”.
Senza pretesa di esaustività alcuna, sembra sufficiente questa prima lettura del disegno di legge di bilancio per ingenerare dubbi sul “Futuro di questo Paese” e nello specifico dei Nostri Settori Università&Ricerca che, anziché rappresentare la punta di diamante del Sistema, assomigliano sempre più alla “gabbianella che non sa volare”.
Recuperiamo quota iniziando dal Nostro diritto a Scioperare il prossimo 29 novembre contro una legge di bilancio che non può e non deve rappresentare il Nostro Futuro.
Vi terremo come sempre aggiornati.
La Segreteria Nazionale