Roma, 15 giugno 2016
1) CRISI E DECLINO DELL’ALTA FORMAZIONE IN ITALIA
Tra i paesi a medio ed alto sviluppo solo l’Italia è l’unico ad aver ridotto in maniera drastica gli investimenti pubblici per l’alta formazione. La condizione del sistema universitario italiano, in declino dal 2008 ad oggi, è riassumibile in poche, drammatiche, cifre.
I dati confermano il grave arretramento, in primis in dimensione e presenza, dei nostri atenei pubblici:
dal 2008 al 2014 le nuove immatricolazioni si riducono di oltre il 20%; l’area della docenza arretra del 17%; il personale tecnico-amministrativo del 18%; i corsi di studio diminuiscono della stessa entità, 18%; il Fondo di Finanziamento Ordinario (FFO) del 22,5% in termini reali.
Tali forti decrementi riguardano un contesto generale già fortemente sottodimensionato in valori assoluti di spesa e di addetti rispetto ai paesi nostri competitors.
Eclatanti conferme della gravità della situazione nella quale sono costretti, da anni, gli Atenei pubblici del nostro Paese giungono dalla stessa posizione ufficiale dell’Assemblea della CRUI, che l 26 maggio 2016 ha preso in considerazione le risultanze dei Decreti Ministeriali riferiti alla Programmazione Triennale ed all’ FFO – 2016 sia dalle risultanze del “rapporto biennale sullo stato del sistema dell’ Università e della Ricerca – 2016” a cura dell’ ANVUR.
La CRUI mette in evidenza, in particolare, come anche i recenti interventi del Governo pur destinando alcune quote significative al sistema universitario ne vincolano a monte l’utilizzo (piano straordinario associati, chiamate dirette, nuovi dottorati etc.) e dunque continuano ad erodere in maniera non più sopportabile la quota di risorse effettivamente a disposizione dei singoli atenei (l’FFO 2016 si riduce di circa 70 milioni di euro per il 2016),
Ancora più marcatamente negativo il giudizio contenuto nel Rapporto ANVUR che, come messo in evidenza nei comunicati e negli interventi della Segreteria Generale della UIL RUA, viene in sostanza a confermare quanto sostenuto da anni dal nostro sindacato, ovvero: le politiche degli ultimi 10 anni stanno attuando un progressivo smantellamento dell’alta formazione e ricerca del nostro Paese, in particolare nelle aree del Centro e del Mezzogiorno.
Diversamente da quanto avvenuto, anche durante la crisi finanziaria, nelle economie più dinamiche e tecnologicamente avanzate, l’indirizzo completamente opposto dato alle politiche dell’alta formazione nel nostro Paese ha un duplice significato ed origine:
– a) soprattutto in assenza delle necessarie azioni correttive, le caratteristiche del modello di produzione – a sempre più scarsa produttività dei fattori e quindi a basso valore aggiunto – hanno contribuito a deprimere la domanda di competenze di alta qualificazione e formazione;
– b) in ossequio ad una demagogica campagna mediatica e politica, i governi hanno operato un attacco frontale al sistema universitario pubblico. A pagare il prezzo più alto sono gli addetti, le
strutture e gli atenei più deboli, stretti nella tenaglia del disinvestimento e del recupero di una centralizzazione distorcente, operati con l’obbiettivo di una “selezione chirurgica” dei saperi, delle cosiddette “eccellenze”, dell’uso delle risorse umane ed economiche.
Il mancato e/o insufficiente sostegno pubblico, nazionale e regionale, ha inevitabilmente determinato uno scadimento ulteriore della quantità e qualità dei servizi offerti agli studenti e il forte incremento dei costi e della tassazione con ulteriore aggravio per le famiglie economicamente più deboli.
Anziché realizzare nuovi ed utili equilibri ed una elevazione qualitativa complessiva, l’azione pubblica si è risolta in un complessivo impoverimento sociale, scientifico e professionale e sta ora portando al collasso il sistema.
Giustamente si può affermare anche per l’Università quanto è già stato autorevolmente detto per la nostra Costituzione e le sue “riforme”: siamo di fronte ad una sorta di “suicidio assistito” del sistema dell’alta formazione. E possiamo, altresì, affermare che esiste una vera e propria “questione meridionale” dell’alta formazione, considerata la persistenza di logiche di intervento che hanno squilibrato ulteriormente il sistema e che stanno mettendo in crisi gli atenei del Sud, alcuni dei quali di tradizione quasi millenaria
2) IL “SUICIDIO ASSISTITO” DELL’UNIVERSITA’ (OVVERO LE RIFORME SBAGLIATE)
Sarebbe profondamente errato attribuire alla crisi finanziaria ed alle condizioni di arretratezza della nostra economia la motivazione, esclusiva o prevalente, del declino dell’ Università nel nostro Paese. Le maggiori responsabilità attengono, come già ricordato, alle scelte politiche ed istituzionali.
Proprio in ragione dei nostri ritardi, i governi avrebbero dovuto e potuto adottare per tempo strategie di segno opposto ed espansive, come quelle messe già in atto nei Paesi più avanzati, come ad es. la Germania. Al contrario i tagli lineari hanno colpito, con una veemenza unica in ambito pubblico, soprattutto quei settori – ricerca, alta formazione, cultura – che gli stessi “teorici” della spending-review chiedevano invece di rafforzare.
Si è scelto “il suicidio assistito” dell’università e lo si è fatto con la piena e lucida consapevolezza di obiettivi e conseguenze.
Anche la scelta dell’orientamento di Governo e ARAN (scelta condivisa anche da alcune tra le stese parti sociali) per la definizione dei comparti di contrattazione pubblici, che ha impedito la realizzazione richiesta invece dalla UIL e dalla UIL RUA e da una parte molto consistente della stessa comunità scientifica, di un comparto unico della Ricerca, Alta Formazione e Cultura è l’indicatore della scarsa considerazione nella quale sono trattati temi dai quali dipende, direttamente ed indirettamente, il futuro sociale, civile, culturale e tecnologico del nostro Paese.
La UIL RUA fin dall’inizio del dibattito sulla “legge Gelmini” aveva sollecitato l’attenzione sul fatto che sarebbero state sufficienti poche, chiare e rigorose regole per favorire nuovi ed adeguati assetti nell’indirizzo delle scelte nazionali di politica universitaria, nella “governance” e nella vita degli Atenei pubblici, già resa complessa dalla stratificazione legislativa e normativa.
La nostra posizione rispondeva, innanzitutto, ad una preoccupazione di fondo, confermata dalla realtà degli ultimi anni: l’eccesso di “riforme” (e dunque di norme) avrebbe allontanato il raggiungimento di una accettabile “condizione a regime” e dunque ulteriormente burocratizzato, bloccato e polverizzato attività gestionali, didattiche e scientifiche.
La L.240/2010 e le decine (circa 30) di decreti delegati e provvedimenti conseguenti, hanno caricato e stanno tuttora caricando gli Atenei di una overdose normativa insostenibile, finendo per produrre
squilibri, diseconomie, arretramenti e in molti casi una vera e propria “paralisi” di strutture e di singoli “operatori” (docenti e personale tecnico-amministrativo). Come già per gli Enti Pubblici di Ricerca, esiste parallelamente al problema del diverso sostegno pubblico l’urgenza di un intervento drasticamente semplificatorio.
La “strategia suicida” dei governi può essere così riassunta:
– A) alla erosione progressiva delle risorse si accompagna un processo di redistribuzione interna delle stesse. La nuova allocazione è legata a rigidi, “convenzionali” e “predeterminati” parametri di tipo quantitativo che danneggiano la già critica gestione degli atenei operanti nei contesti più deboli (quelli del nostro Mezzogiorno) e si caratterizzano come funzionali ad una forzata operazione di ricerca di “eccellenze” e ad una “mirata selezione” nell’offerta di “opportunità”, nella distribuzione di risorse umane e finanziarie, dunque nella stessa articolazione e presenza sul territorio.
– B) è palesemente discutibile l’affidamento all’ANVUR di una molteplicità di compiti e responsabilità che atterrebbero a livelli istituzionali (si pensi ad es. ai meccanismi che governano l’abilitazione scientifica per l’accesso al secondo e primo livello della docenza) con effetti micidiali di tipo procedurale e normativo, nonché sui costi e sulla stessa deresponsabilizzazione di chi è chiamato a governare.
– C) la compressione dei livelli di autonomia degli Atenei comporta all’interno del processo di centralizzazione decisionale non solo nuovo sovraccarico burocratico e negazione delle “diversità dei contesti” ma soprattutto la riappropriazione, a livello politico nazionale, di larghi margini di flessibilità e discrezionalità funzionali alla allocazione delle risorse, ai processi di privatizzazione striscianti, alle nuove politiche di reclutamento (in parte già messe in atto con la Legge di Stabilità 2016 e di fatto in contraddizione totale con l’affermazione della “sacralità” dei criteri meritocratici pubblici).
– D) il rapporto instaurato con il mondo produttivo si caratterizza e si riduce sostanzialmente ad una ossequiosa aderenza alle istanze della rappresentanza imprenditoriale, volte non già ad un rapporto organico tra cultura – impresa – società, bensì alla ricerca di nuove opportunità di sostegno pubblico alle assunzioni di personale genericamente “qualificato” nelle stesse imprese (credito di imposta) e, tutt’al più, allo sviluppo dei dottorati di ricerca svolti con il concorso diretto del competenze e delle esigenze del mondo produttivo.
– E) la nuova “governance” derivata dalla L. 240/2010 ha significato il consolidamento ulteriore di un’oligarchia interna agli Atenei e nel sistema, con il parallelo venir meno degli spazi di partecipazione e di ruolo attivo per le componenti fondamentali del mondo universitario.
– F) le politiche di finanziamento, di reclutamento e dello stesso diritto allo studio, nella spasmodica ricerca di favorire una redistribuzione forzata ed indirizzata di risorse già insufficienti, stanno determinando la insostenibilità finanziaria degli atenei, l’indebolimento ulteriore di tutti i servizi offerti agli studenti, la precarizzazione crescente delle risorse umane e delle competenze (docenza, ricercatori, personale tecnico ed amministrativo).
3) CONTRO “IL GRANDE FALLIMENTO” : 8 PROPOSTE DELLA UIL RUA
3.1 – Diritto allo studio e qualità dei servizi
Se il nostro Paese spende, tra Stato e Regioni, 7-8 volte di meno di quanto spendono Francia e Germania per il sostegno agli studenti universitari, ciò è in diretta conseguenza con la scelta adottata di ridimensionamento e di mutamento della funzione sociale dell’ alta formazione.
Occorre una convinta e forte risposta alternativa a questa strategia e la UIL RUA sceglie proprio il diritto allo studio e la qualità dei servizi quali terreni di impegno prioritario e concreto, come riaffermazione del valore sociale del dettato dell’art. 34 della nostra Costituzione, per il quale è dovere dello Stato sostenere gli studenti meritevoli ed in condizioni economiche svantaggiate.
In questa direzione la UIL RUA chiede di:
– almeno triplicare le risorse complessivamente messe a disposizione per le politiche del diritto allo studio, per riequilibrare le diverse situazioni sul territorio, per aumentare la scarsissima quota destinata alle borse di studio (oggi del 10% di idonei solo una piccola parte degli stessi è in grado di beneficiare di questo sostegno);
– migliorare radicalmente la condizione alloggiativa, prioritariamente con recupero rispetto a nuovo consumo di suolo, in particolare degli studenti fuori sede, attraverso interventi di edilizia residenziale pubblica oltre che parallele specifiche ed innovative iniziative pubblico-private nelle quali l’operatore privato metta a disposizione proprie strutture e il sistema pubblico lo sostenga con opportuni incentivi di tipo fiscale, consentendo in sintesi una politica di locazione a più basso costo in favore degli studenti stessi;
– investire soprattutto le risorse europee per migliorare quelle condizioni infrastrutturali (a cominciare dai trasporti) e dei servizi (mense accessibili ed adeguate, economicità dei materiali di studio, accesso facilitato agli strumenti formativi, servizi di supporto anche per il tempo libero e lo sport, qualità ambientale etc.) anche al fine di agevolare e migliorare le condizioni per la mobilità e la pendolarità studentesca;
– puntare in maniera più decisa ed innovativa sulla formazione a distanza e sulle relative nuove tecnologie e potenzialità, stimolare la attuale scarsa domanda di alta formazione, anche part-time, per le persone adulte e/o in riconversione professionale e produttiva, sviluppare le possibilità di accesso nei nostri corsi degli studenti stranieri (in particolare provenienti dall’area mediterranea e dei Balcani), potenziare i servizi per l’orientamento anche in entrata;
– ripensare in maniera seria e corretta tutti gli attuali istituti che governano il “numero chiuso” soprattutto superando le assurde regole che impediscono gli accessi ai nostri giovani in aree, come ad es. quelle infermieristiche, invece aperte alla “importazione” di stranieri;
– sviluppare fortemente il “tutorato” come strumento essenziale per migliorare la vicinanza dei docenti agli studenti e la qualità dell’insegnamento e per contenere, anche per questa via, il fenomeno dell’abbandono.
3.2 – Sviluppo e qualità della docenza e della didattica
Oggi la ricerca di qualità nell’offerta didattica e dell’insegnamento risponde solo a logiche di puro adattamento alla domanda potenziale (soprattutto nelle aree di tipo scientifico sviluppatesi in particolare negli Atenei del Nord). Manca una strategia nazionale volta al miglioramento ed al riequilibrio complessivi, alla valorizzazione di tutte le migliori risorse umane esistenti (indipendentemente dalla loro collocazione di ateneo e/o di territorio) e di tutte le discipline (a cominciare da quelle di tipo socio- umanistico).
Le politiche adottate dai governi hanno determinato un invecchiamento progressivo dell’età media del corpo docente (che si registra soprattutto nella fascia dei professori ordinari ma non solo), una diminuzione secca (17,2% dal 2008 al 2015) del numero di docenti, uno squilibrio insostenibile nel
rapporto studenti/docenti (28,6 per il Nord, 32,4 per il Centro-Sud), favorendo così il forte ricorso a rapporti di lavoro precari.
La UIL RUA chiede di:
– rivedere radicalmente le logiche di fondo ed i criteri che presiedono attualmente alla gestione dei cosiddetti punti organico, che hanno penalizzato fortemente tutta l'”armatura” di alta formazione del nostro Mezzogiorno senza riuscire a valorizzare la presenza qualificata e qualificante di giovani ricercatori e docenti degli atenei “minori”. Proprio di questi ultimi gli “esercizi di valutazione” hanno verificato l’alta capacità e potenzialità didattica e scientifica! Il nostro è un deciso “no” ai meccanismi per i quali si favorisce più reclutamento quale “premio” agli atenei meglio classificati in base a predeterminati ed astrusi criteri;
– avviare una politica alternativa di sviluppo e qualificazione del “dottorato di ricerca”, utilizzando anche a questo fine le stesse risorse europee ed impostando anche in questa direzione alcuni obiettivi del Programma Nazionale della Ricerca (PNR); cercare non solo il raccordo con il mondo produttivo ma anche con gli Enti Pubblici di Ricerca (oggi siamo ad uno 0,6% ogni mille abitanti di studenti di dottorato italiani contro il 2,6% della Germania, per un calo complessivo del 12% dei corsi di dottorato);
– sviluppare una politica per una qualità nuova della docenza imperniata non solo sulla valorizzazione della propensione alla ricerca, alla internazionalizzazione, ai meccanismi di valutazione (vedi pubblicazioni), ma anche quella al tutorato, all’impegno ed alla presenza costanti nelle sedi, alla vicinanza assidua agli studenti, al collegamento con le peculiarità e le caratteristiche del territorio;
– operare con nuove politiche di reclutamento e di superamento della precarietà un’azione di profondo e diffuso ringiovanimento del corpo docente e di elevazione complessiva della qualità dell’insegnamento e degli ordinamenti didattici a partire dal potenziamento di ambiti disciplinari capaci di valorizzare le caratteristiche culturali, ambientali, sociali e civili del nostro Paese;
– superare la precarietà e rafforzare in quantità, trattamento economico e ruolo il personale tecnico- amministrativo, la cui presenza e le cui funzioni, nelle diverse articolazioni, risultano essenziali alla elevazione qualitativa di tutto il sistema didattico e scientifico, nonché al migliore funzionamento di tutti i servizi.
– dare vita ad una politica di incentivi mirati specificamente a favorire la mobilità dei docenti migliori verso gli atenei territorialmente più deboli;
– sostenere e sviluppare le “aree di eccellenza” presenti all’interno dei singoli atenei indipendentemente dal “posizionamento” dell’ateneo.
3.3 – Reclutamento – Piano straordinario assunzioni – Precariato – Nuova struttura della docenza
A soffrire della carenza strutturale di risorse, oltre alla qualità dei servizi sono le risorse umane: docenza e personale tecnico amministrativo di ruolo, docenza a contratto e precariato nelle sue diverse forme.
I recenti dati del CUN, della stessa CRUI ed ANVUR confermano le grandi difficoltà.
L’ultimo Rapporto Anvur con riferimento al periodo 2008 – 2015 mette in evidenza: a) la decrescita del corpo docente di ruolo (da 65.753 unità a 50.369); b) il calo del personale tecnico- amministrativo di
ruolo di circa il 13%; c) la crescita, in parallelo, del personale ricercatore a tempo determinato (da 1.280 a 4.608 unità) e degli assegnisti, collaboratori e borsisti (da 22.045 a più di 30 mila).
I dati evidenziano quindi che il peso della crisi si scarica sul precariato: ovvero, che il precariato universitario “ha permesso in questi anni di sostenere l’accrescimento dei carichi di lavoro” degli atenei pubblici italiani.
Il dato strutturale di fondo viene efficacemente evidenziato dal rapporto del CUN “Reclutamento universitario: una proposta per uscire dalla emergenza” (aprile 2014): la consistenza numerica attuale del nostro corpo docente è inferiore di più del 25% della media dei valori di paesi come Germania, Francia, Spagna, Regno Unito.
Continuando nell’attuale trend la situazione si aggraverebbe ulteriormente sia in termini di carenza numerica sia di ulteriore elevazione dell’età media dei docenti, con evidenti e negative ripercussioni sulla qualità della attività didattica e della ricerca (sempre il CUN stima al 2018 un decremento di circa il 30% dalle 62.573 unità attuali alle 44.194).
Lo stesso discorso vale per il personale tecnico-amministrativo il cui decremento, già messo in evidenza, ha conseguenze devastanti sul funzionamento degli apparati e sulla qualità dei servizi offerti agli studenti.
Si impongono, pertanto, sia interventi straordinari di “tamponamento” dell’emorragia sia un ripensamento strutturale dell’intero sistema: ciò per rimuovere da un lato gli attuali vincoli normativi e finanziari che condizionano le dinamiche di accesso e lo stesso ricambio (turn-over, età pensionamenti, definanziamento, punti-organico etc.) e dall’altro procedere ad una revisione profonda della L.240/2010.
Una strategia alternativa dovrà basarsi, ad avviso della UIL RUA, su 4 assi di intervento fondamentali:
1) la rinuncia sia all’attuale meccanismo dei cosiddetti “punti organico” (vedi specifico approfondimento nel punto 3.2) sia a quello che governa il finanziamento dell’F.F.O. (vedi specifico approfondimento nel paragrafo 3.5) rispettivamente con: una sostituzione del primo con un sistema di controllo semplicemente di tipo “budgetario” e per il secondo con la rinuncia all’attuale sistema barocco dei parametri “premiali”, con copertura integrale delle spese ordinarie per quanto riguarda la cosiddetta “quota base”;
2) la predisposizione immediata di un piano straordinario di finanziamento degli atenei e di reclutamento ed immissione straordinaria di ricercatori, docenti e personale tecnico-amministrativo;
3) revisione profonda degli attuali meccanismi posti a governo della fase “pre-ruolo” e dei relativi “profili” (assegnisti, dottorandi, ricercatori “di tipo a”) che determinano sia un allungamento insostenibile dell’età media di ingresso in ruolo (oggi cautelativamente stimabile in 40 – 42 anni, dunque 15 – 17 anni di pre-ruolo dal conseguimento della laurea) sia una precarizzazione altrettanto diffusa del personale ricercatore (i dati ANVUR elaborati dal CUN riferiti al quadriennio 2010-2013 mostrano come il potenziale reclutamento di 7.000 ricercatori a tempo indeterminato è stato sostituito dalla creazione di circa 2.000 posti di RTD di “tipo a” e solo poco più di 100 di “tipo b”; la situazione è solo in parte attenuata con l’immissione di circa 3.000 ricercatori di ruolo, reclutati in base al piano straordinario ex comma 650, art. 1 della L. n. 296/06);
4) il rilancio da parte del sindacato e del “tavolo della docenza” della strategia del cosiddetto “docente unico” con un’articolazione nuova del ruolo basato su tre livelli (ordinario, associato, ricercatore RTI “tipo b”).
3.4 – La Valutazione
Anche nel sistema universitario, e non solo in quello degli Enti Pubblici di Ricerca fin qui interessati dagli esercizi valutatori dell’ANVUR (VQR) sono forti e diffuse le istanze volte ad una modificazione profonda dei criteri che hanno informato le metodologie di tali operazioni, oggi solo in parte in via di revisione.
Per la UIL RUA si tratta, in primo luogo, di :
– impedire che ad un meccanismo di tipo “sperimentale” sia affidato un ruolo così nevralgico e potente nella allocazione delle risorse (v. quota premiale, sulla quale si ritornerà nel paragrafo relativo al finanziamento). Si sa che la disponibilità di risorse e la forza socio-economica dei contesti territoriali hanno diretta influenza sui risultati: ecco perché la valutazione compiuta dall’ANVUR non può essere considerata e trattata come una misura della “produttività” bensì ad essa va attribuito il carattere di operazione solo “esplorativo-conoscitiva”. Operazione che dovrebbe tornare utile al libero, autonomo e responsabile orientamento ed intervento equilibratore che è proprio delle responsabilità politiche ed istituzionali (v. MIUR) e non è “delegabile” a meccanismi solo ipoteticamente “freddi”.
– compiere una urgente valutazione riferita sia ai costi-benefici della VQR sia al ridimensionamento drastico dell’attuale architettura barocca (23 indicatori diversi, fino a 60 combinazioni diverse e parametri), che impegna per molto tempo i nostri docenti distraendoli pesantemente dai propri compiti, soprattutto quelli istituzionali della didattica e della presenza nell’ateneo oltre che le pubblicazioni scientifiche per la crescita professionale;
– non limitarsi ad un generico “restyling” degli attuali “esercizi valutativi” bensì operare una forte semplificazione delle operazioni di valutazione ed un loro condiviso orientamento verso metodiche che: superino la iniquità dei trattamenti tra atenei più grandi ed atenei “minori”, articolino ed adattino le logiche valutative alla peculiarità dei dipartimenti e delle aree-scientifiche (è noto che indici bibliometrici e peer-review hanno effetti diversi se applicati indistintamente all’interno di uno stesso ateneo), valorizzino al massimo la cosiddetta “terza missione” e l’azione di “trasferimento” (ma anche qui nella considerazione degli oggettivi vincoli di contesto);
– utilizzare i risultati delle periodiche valutazioni al recupero ed al rafforzamento, e non alla penalizzazione, depauperamento ed abbandono delle strutture più deboli, con ciò puntando al riequilibrio complessivo del sistema dell’alta formazione ed alla diffusione ed uso delle migliori pratiche.
3.5 – Nuove risorse finanziarie
Gli scarsi 7 miliardi circa di euro del Fondo di Finanziamento Ordinario degli atenei italiani a fronte dei 26 miliardi di euro messi a disposizione dei propri atenei dalla Germania, danno solo una prima sintetica, ma “plastica” idea del disinvestimento operato nell’alta formazione del nostro Paese. Lo squilibrio territoriale è dimostrato da un altro dato: 99 euro è il livello di spesa pubblica per abitante sostenuto nel nostro Mezzogiorno mentre quello medio in Germania è di 332 euro e quello della Francia è di 305 euro! Il disinvestimento pubblico operato nel nostro paese (in particolare dai governi Berlusconi e Monti, quantificato nel 23%!) evidenzia un costante decremento; di conseguenza cresce la componente di spesa privata, ovvero delle famiglie, soprattutto attraverso la tassazione, valutata attorno nel 2011al 25%, che da noi più elevata e molto superiore rispetto a sistemi comparabili, ad es. quello francese e spagnolo.
Sono ovvi, oltre che le conseguenze sul sistema organizzativo, i risvolti di tipo sociale di questo andamento. Aumenta, nel contempo, il peso delle entrate diverse da quelle garantite dal MIUR, ma anche su queste influiscono necessariamente le “condizioni di contesto” che certo non favoriscono “pari opportunità” e pari condizioni di partenza.
Soprattutto si depriva così proprio il territorio in cui è più necessaria una forte presenza delle istituzioni e si rallenta o ferma del tutto l’ascensore sociale.
La verità è che oltre ad essere in maniera anomala distribuito nella sua quota di base (circa 4,9 miliardi nel 2015) e nella sua “quota premiale” (circa 1,5 miliardi sempre nello stesso periodo, con un peso della quota premiale mai raggiunto in nessun altro paese, ad eccezione del Regno Unito) l’F.F.O. degli atenei è palesemente insufficiente e questa insufficienza strutturale sta portando a rischio di collasso il sistema dell’alta formazione!
Per la UIL RUA:
– occorre riformare profondamente il sistema, ben sapendo che chi alloca “politicamente” le risorse conosce bene gli effetti della scelta allocativa e non ha bisogno di un sistema barocco e costoso come quello attuale per “premiare” con le sue scelte le strutture migliori;
– è indispensabile la rinuncia ai complicati parametri ed indicatori oggi in uso, troppo influenzati dalle “condizioni di contesto”, ferma restando la validità di slegarsi da un rigido rispetto della cosiddetta “spesa storica” e di riferirsi al “costo standard per studente” (che però non può essere misurato esclusivamente per gli studenti in corso);
– la “quota base” dei finanziamenti dovrà coprire, come accade in tutti gli altri Paesi, integralmente il finanziamento ordinario di tutti gli atenei pubblici;
– appare in questo caso comunque giusto associare a questo intervento una verifica periodica soprattutto di accreditamento dei corsi e di soglie nella qualità della didattica e dei servizi, cui collegare interventi straordinari;
– valutare la opportunità di dare vita ad operazioni (bandi periodici?) per premiare i gruppi di ricerca e le strutture rivelatesi migliori, operando con risorse aggiuntive ed evitando i costi di sovraccarichi burocratici e procedurali.
3.6 – ‘Governance’ e Partecipazione
La legge 240/2010, in particolare agli artt.1 e 2, detta i nuovi indirizzi della “governance” universitaria tanto nel livello complessivo del sistema nazionale come in quello del singolo ateneo.
Mentre a livello generale la “sterzata centralistica” sta incidendo soprattutto sulla limitazione-compressione dell’offerta didattica e sulla gestione degli strumenti di reclutamento (concorsi), nei singoli atenei i nuovi criteri disegnano una pericolosa tendenza alla imitazione di modelli tipici del mondo anglosassone, con processi di radicale verticalizzazione e ‘managerializzazione’ degli istituti e dei ruoli monocratici di governo dell’Ateneo e delle sue strutture (facoltà, dipartimenti).
Ne conseguono la scelta di un modello aziendalistico, una concentrazione di poteri ed un verticismo espressi fondamentalmente dalle prerogative attribuite ai Rettori ed ai nuovi Consigli di Amministrazione, cui corrisponde l’indebolimento senza precedenti degli strumenti e dei livelli di partecipazione delle componenti interne al sistema.
La UIL RUA si è battuta fin dai primordi della “riforma” e dell’emanazione dei decreti delegati ad essa legati contro questa centralizzazione e verticalizzione: Rettori espressione del potere assoluto, Consigli
di Amministrazione trasformati in veri e propri “boards” che concentrano in sé impropriamente tutti i poteri di indirizzo, gestione e controllo, un Senato Accademico ridotto a puro organo consultivo.
La “riforma” sbandiera a titoli cubitali il binomio “autonomia-responsabilità”, ma è proprio questo binomio e questa sintesi virtuosa che vengono palesemente contraddetti di fatto e di diritto da un processo di centralizzazione a livello MIUR ed ANVUR e di concentrazione di poteri al livello di Ateneo, processo che nella condizione del nostro Paese (molto diversa da quella dei Paesi che hanno da sempre adottato simili modelli “aziendalistici”) non è sicuramente foriero di qualità e di democrazia.
Per la UIL RUA il modello che concentra nel Miur, nell’Anvur, nei Rettori e nei Consigli di Amministrazione tutti i poteri è un modello da ripensare e cambiare radicalmente. Per intanto l’autonomia statutaria, se coerentemente ed incisivamente praticata, potrà costituire lo strumento primario per importanti correzioni, possibilmente rigorose ed uniformi sul territorio, da parte dei singoli Atenei. Ad essi non potrà mancare l’apporto del sindacato all’insegna della democrazia e della massima partecipazione delle componenti interne al sistema, a cominciare dal personale e dalla stessa componente studentesca.
3.7 – Ricerca, Didattica e Servizio Sanitario – Il ruolo delle Aziende Ospedaliere Universitarie.
La riforma del TITOLO V della Costituzione ha contribuito in maniera determinante a spostare l’asse dell’assistenza sanitaria a livello regionale; le politiche conseguenti stanno evidenziando un progressivo accerchiamento delle Aziende Ospedaliere Universitarie, per le quali i segnali di cessione al sistema sanitario regionale (peraltro confermati anche dalle disposizioni contenute nella Legge di Stabilità 2016) possono mettere in serio rischio lo sviluppo delle attività didattiche e di ricerca, passando per un’interpretazione quanto meno singolare dei processi normativi e regolamentari (protocollo d’intesa ed atti aziendali).
Si cedono progressivamente competenze del mondo universitario al mondo della sanità regionale, senza una programmazione e senza una visione generale, anzi in maniera disomogenea anche all’interno di una stessa regione, procedendo ad alchimie normative e finanziarie “creative” che vedono un Ministero dell’Economia e delle Finanze molto disattento e distratto nel valutare le operazioni in atto e le loro conseguenze.
In materia di Sanità la legislazione per così dire “concorrente” tra stato e regione è caratterizzata da processi mai conclusi.
Il piano di rientro dai debiti è da sempre finanziato dallo stato con leggi e trasferimenti (di risorse) speciali.
Il personale Universitario è personale “statale”, e la Regione non può subentrare in automatico.
La normativa nazionale dalla 833/78, alla 517/99, alla 240/10 prevedevano l’emanazione di decreti attuati mai emanati. La carenza di tali atti nazionali non può essere compensata da normative regionali.
Lì dove sono intervenute leggi speciali sono state emanate in regioni a statuto speciale, e il contenzioso è elevatissimo, arrivando a vedere (caso Sicilia) la stessa Regione che impugna un atto di propria emanazione!
Il patrimonio afferente all’Università può essere concesso solo “in uso” alla struttura sanitaria, che qualora dismetta le attività è tenuta a restituirlo all’Università.
I CCNQ e i CCNL regolamentavano i rapporti del personale Universitario integrato nelle aziende ospedaliere universitarie sia di tipo a) che di tipo b).
Il passaggio di consegne da Università a Sanità rischia, in definitiva, di tradursi in un raddoppio dei costi per la finanza pubblica ed in gestioni di potere tra Rettori e Governatori delle Regioni.
Ovviamente malati, studenti, lavoratori del settore sono destinati a pagare il prezzo di interessi intrecciati, nell’indifferenza della politica nazionale.
La UIL RUA conferma il proprio impegno, e quello delle proprie strutture sul territorio, ad opporsi, in tutte le sedi (locali, regionali, nazionali) e con tutti gli strumenti a propria disposizione, ad un processo che contiene oltre al rischio di una ulteriore dispersione di risorse finanziarie soprattutto quello del depauperamento della qualità delle competenze e conseguentemente quella delle stesse prestazioni e dei servizi offerti alla cittadinanza.
A rafforzare il convincimento a non cedere in questa pur difficile battaglia è la consapevolezza dell’inscindibilità in campo medico – sanitario del rapporto tra ricerca, didattica e prestazione di un’assistenza sanitaria di sempre più elevata qualità al cittadino.
3.8 – Contrattazione e relazioni sindacali
L’inasprimento normativo ed i blocchi contrattuali hanno colpito tutti i settori pubblici ma si deve dire che essi hanno inciso in maniera fortemente penalizzante sugli atenei, dove sulla condizione sempre più critica del personale contrattualizzato hanno pesato e pesano anche gli effetti congiunti della L. 240/2010 con la riduzione senza precedenti delle risorse rivolte al settore, costringendolo ad un ridimensionamento forzato.
La ripresa della contrattazione e di vere relazioni sindacali non può non passare, innanzitutto, attraverso la revisione profonda ed il superamento dei limiti della legislazione in vigore (D.L. 150/09, L. 133/08, L.122/2010, DL 49/2012 etc.).
Sul personale tecnico-amministrativo si sono riversati gli oneri di una condizione insostenibile determinata dalla contrazione di 12-15 mila unità nel ventennio e dalla corrispondente crescita del carico dei servizi da offrire alle attività didattiche e di ricerca nonchè al funzionamento complessivo della vita degli Atenei.
Questa situazione può essere risolta solo attraverso la ripresa di una vera dinamica contrattuale mirata ad obiettivi fondamentali, quali: la previsione di finanziamenti ordinari adeguati, finanziamenti ed interventi straordinari finalizzati all’assunzione dei precari, il diritto alla carriera e la separazione del diritto alla carriera da quello all’assunzione, il finanziamento delle progressioni con risorse esterne a quelle del salario accessorio, alla sicurezza, alla formazione.
Su questo impianto generale si muovono le proposte della UIL RUA:
La contrattazione integrativa deve intervenire nella determinazione ed utilizzo di tutte le risorse destinate al salario accessorio, nella ricerca del giusto equilibrio tra sviluppo professionale e trattamenti più generalizzati. Obiettivo fondamentale è realizzare con la contrattazione integrativa intese realmente esigibili, e non sottoposte, se non dal lato contabile, ai controlli esterni. Vanno estese le materie di intervento. Va consolidato e sviluppato il sistema delle progressioni economiche e vanno superati i vincoli di bilancio per quanto riguarda le progressioni orizzontali e verticali, vanno aumentate le opportunità di crescita economica per le situazioni di apicalità soprattutto perché l’aspettativa di lavoro ormai aumenta parallelamente alle aspettative di vita.
Il problema del personale universitario strutturato nelle Aziende ospedaliere va assolutamente ricondotto a sistema. I nuovi problemi connessi al rapporto tra Università e Regioni rischiano di ricadere sulle spalle dei lavoratori, con demansionamenti, riduzioni retributive, esclusione dalle attività convenzionate, diritto alla carriera negato, fino ad arrivare alla richiesta di restituzione di parte dello stipendio e TFR, arretrati compresi.
Devono essere fermate le esternalizzazioni più o meno fantasiose che passano per la costituzione di Fondazioni chiamate a svolgere attività centrali; vanno riviste normative come la legge 133/08 che ha posto i presupposti per una progressiva e totale privatizzazione delle Università.
I CEL ed i lettori sono ancora privi di una trattazione omogenea sul territorio nazionale, che va ricondotta a princìpi di parità di trattamento economico a parità di prestazione sul territorio nazionale.
La segreteria Nazionale UIL RUA