giovedì 18 Luglio 2024

Attuazione della delega sugli enti di ricerca: osservazioni e proposte.

CGIL CISL UILRoma, 6 luglio 2016
In attesa dell’apertura di uno spazio di discussione formale in merito all’applicazione della delega ex art.13 della legge 124/2015 “Semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca”, proponiamo un commento alla bozza applicativa prodotta dal MIUR indicando gli elementi a nostro avviso principali per configurare un’utile applicazione della delega stessa.

La composizione di un quadro normativo armonico, per la valorizzazione degli Enti e del complesso delle attività istituzionali che li caratterizzano, è imprescindibile da altrettante necessarie azioni di valorizzazione di tutte le professionalità coinvolte. Ovvio il riferimento a ricercatori e tecnologi, senza però escludere i tecnici di laboratorio e il personale amministrativo che costituiscono una più che significativa parte del personale dipendente in servizio. Qualsiasi proposta che non tenga nella dovuta considerazione tali fattori inevitabilmente si tradurrà in un elemento di debolezza piuttosto che di rafforzamento del settore.
Il primo tema critico nella bozza circolata è quello che nel provvedimento di delega non sembrano essere centrali le peculiarità e l’autonomia del ricercatore nelle sue diverse articolazioni. Il nodo del ruolo della comunità scientifica interna agli enti di ricerca e il suo rapporto con gli organi di indirizzo scientifico e amministrativo in questa proposta è tutt’altro che sciolto. Si conferma una visione fortemente burocratica e dirigistica per la quale i ricercatori e tecnologi continuano ad avere poco peso decisionale nei propri enti e persino l’autonomia dei ricercatori rispetto ai settori amministrativi continua ad essere ribaltata in subordinazione rispetto alla dirigenza amministrativa. Significativo che non si utilizzi questo provvedimento per chiarire che le figure professionali dei ricercatori e tecnologi hanno in sé natura dirigenziale benché ciò sia inteso in modo peculiare rispetto alle altre figure apicali previste dalla norma e che non c’è necessità di introdurre massivamente la dirigenza amministrativa anche nel settore della ricerca per governarne le strutture. Al contrario, si prevede la modifica dell’art. 19 comma 6 quater del dlgs 165/01 allargando (presumibilmente) l’eccezione che permette ai ricercatori e tecnologi di accedere temporaneamente ad incarichi di dirigente amministrativo. Mettere mano all’autonomia decisionale degli enti aumentandone i margini è d’altro canto una misura necessaria ed esplicitamente prevista dalla delega, ma il dlgs 213/2009 è uno strumento troppo debole per dare coordinamento e omogeneità all’intero sistema della ricerca. Per altro si tratterebbe di un ambito di intervento normativo che eccede interamente le previsioni dell’art. 13 della legge 124/2015.
Porre Ricercatori e Tecnologi in regime di diritto pubblico non è di per sé garanzia di costruzione di un più forte legame con la docenza universitaria, obiettivo peraltro ottenibile anche attraverso strumenti contrattuali se ce ne fosse la volontà e, la bozza di cui si discute, dimostra la validità di questa affermazione. L’introduzione dello stato giuridico infatti in questa proposta aumenta anziché diminuire le distanze tra i regimi ordinamentali di università e ricerca e non risolve alcuno dei problemi che già affliggono queste figure negli enti di ricerca. Si aggiunga poi la previsione di messa ad esaurimento del III livello professionale senza che a ciò venga connessa alcuna ipotesi di gestione del transitorio. Non si tratta, sia chiaro, soltanto del destino dei “giovani” ricercatori, ma della tenuta dell’intero sistema che poggia sulla professionalità di questo personale esperto che già deve confrontarsi con il problema di avere all’attivo 15/20 anni di anomala permanenza nel proprio livello a causa dei blocchi della contrattazione e dei salari combinati al taglio delle risorse.
Per Ricercatori e Tecnologi la possibilità di carriera si riduce ad un 30% di riserva ai concorsi pubblici. Il gap tra i livelli retributivi dei ricercatori italiani al confronto con il resto d’Europa è già un elemento di grande fragilità per il nostro paese per evidenti motivi, non ultimo l’entità del rientro economico a seguito del finanziamento di progetti UE. Riteniamo che questo divario si aggraverebbe se gli avanzamenti economici di fascia fossero sostituiti da meccanismi “premiali” i quali, per come sono tracciati, profilano un ulteriore allontanamento dagli standard di autonomia previsti dalla carta europea del ricercatore e sanciti dalla nostra costituzione. Tra l’altro, l’istituzione del ruolo unico dei ricercatori e tecnologi non solo esula dalle competenze della delega ma lascerebbe un vuoto normativo rilevante rispetto ad un ordinamento da riscrivere le cui funzioni andrebbero per giunta riarticolate distribuendole non più su tre ma su due livelli. In una condizione di stagnazione dovuta all’assenza di nuove risorse e tagli continui, gli effetti più immediati e allarmanti di quanto descritto finora, se la versione del decreto circolata divenisse operativa, riguarderebbero il precariato della Ricerca. In assenza di sanatorie, stabilizzazioni o almeno norme transitorie, che non sembrano essere nei programmi degli estensori del testo, tutto il precariato storico attualmente a tempo determinato, con assegno o collaborazione, tenterebbe di riversarsi in questo percorso esennale a tempo determinato che porta alla stabilizzazione alla nuova “seconda fascia”, per altro virtualmente in competizione con il personale del III livello posto ad esaurimento. Il risultato prevedibile sarebbe simile a quello osservato negli atenei negli ultimi anni cioè espulsione di massa di personale prezioso di cui al contrario c’è assoluta necessità. Una parte di questi ricercatori e tecnologi (presumibilmente, anche di tecnici e amministrativi, atteso che rappresentano quasi metà dell’organico in servizio e sono fuori da qualsiasi previsione) inizierebbe un percorso dequalificante con contratti parasubordinati, in particolare a prestazioni d’opera, il cui utilizzo viene previsto senza alcun tipo di limitazione. Mentre sull’università si è aperto un dibattito intorno agli effetti negativi provocati finora dall’applicazione della 240/2010, in questo documento del Miur sembra si cerchi di riprodurre una sintesi proprio dei provvedimenti più disfunzionali contenuti in quella norma.
Riguardo al trattamento economico del personale di ricerca si prevede un meccanismo quantomeno discutibile, e in ogni caso fortemente penalizzante del trattamento di fine rapporto. Su TFR e TFS “ai fini della uniformità e della razionalizzazione” tutti gli Enti vengono ricondotti alla disciplina del DPR 1032/73, l’indennità di anzianità (più favorevole) viene sostituita dall’indennità di buonuscita, si introduce il prelievo in busta paga del 2,5% dello stipendio e le future liquidazioni saranno tutte a carico dell’Ente previdenziale.
La problematicità dei contenuti della bozza di decreto applicativo della delega sulla ricerca, rischiano di impantanare un provvedimento di cui la Ricerca ha invece bisogno. Vogliamo dunque ribadire quali devono essere in sintesi i temi che dovrebbero essere affrontati in applicazione dell’art.13 del dl 124/2015.
– Recepimento della carta europea del ricercatore inteso come apertura di uno spazio decisionale della comunità scientifica interna agli enti negli organi di indirizzo e di governo. Maggiore chiarezza nella definizione della titolarità e della responsabilità dei progetti di ricerca da parte dei ricercatori e tecnologi (indipendentemente dalla tipologia di contratto di lavoro del soggetto) e riconoscimento economico della responsabilità di progetti di ricerca. Garanzia di percorsi professionali che tutelino e valorizzino lo sviluppo del ruolo, dell’esperienza, della competenza dei ricercatori e tecnologi e di tutto il personale di ricerca.
– Individuazione di un percorso tenure track di assunzione a tempo indeterminato, non superiore a tre anni, e che tenga conto dell’anzianità maturata dai precari anche parasubordinati, già in servizio negli enti. Utilizzo dei contratti a tempo determinato come unica forma di lavoro a termine prevista.
– Ampliamento degli spazi di autogoverno delle istituzioni di ricerca come riconoscimento della propria autonomia ordinamentale e rimozione dei vincoli e dei controlli preventivi in coerenza con la loro peculiarità rispetto agli altri settori della pubblica amministrazione. Su questo fronte ci sono indicazioni condivisibili nella proposta avanzata. La gestione a budget prevista dalla delega deve però essere intesa comprendendo le risorse dei progetti e di tutte le attività in conto terzi. La politica degli enti sulle attività strategiche e sul personale intese come sviluppo professionale, innovazioni organizzative e reclutamento, dovrebbe avere come unico riferimento l’entità del budget senza ulteriori vincoli.
– La delega non prevede interventi che riguardino la governance di sistema né, tantomeno, la pubblicizzazione del rapporto di lavoro dei ricercatori e tecnologi, quest’ultimo punto è invece presente nella bozza di decreto proposta dal MIUR configurando un eccesso di delega. Riteniamo in ogni caso utile, indipendentemente dal provvedimento di delega che esula questo argomento, affrontare una discussione in merito agli assetti generali di controllo e coordinamento sugli enti di ricerca. In merito alla regolazione del rapporto di lavoro dei ricercatori e tecnologi riteniamo che lo sforzo del governo debba essere quello di creare urgentemente le condizioni affinché si apra la trattativa sul rinnovo del contratto nazionale della ricerca e che quello sia lo spazio più idoneo ad affrontare la necessità di un investimento normativo e finanziario sulla figura del ricercatore e del tecnologo degli enti di ricerca. Senz’altro il contratto di lavoro è l’unico strumento in grado di mettere insieme in modo coerente – senza creare rigidità anacronistiche – temi quali il peso decisionale di questo personale all’interno degli enti, le conseguenze dell’autonomia professionale (sancita dalla carta europea del ricercatore) sull’organizzazione “quotidiana” del lavoro, la relazione tra libertà di esercizio della propria funzione sociale e garanzia dello sviluppo di carriera. Il tutto all’interno di un orizzonte che eviti la compromissione del sistema, garantendo una evoluzione omogenea e generale della complessità del lavoro di ricerca premurandosi di intervenire anche sul restante cinquanta percento del personale di ricerca cioè i tecnici di laboratorio e il supporto amministrativo.
– Al fine della realizzazione del Sistema nazionale della ricerca, deve essere difesa e valorizzata l’integrità del Settore degli EPR a partire dalla previsione della conferma dell’ordinamento degli EPR a tutto il personale della ricerca confluito in altre realtà del pubblico impiego in forza di norma di legge.

 

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