sabato 21 Dicembre 2024

Audizione Commissioni riunite VII Camera (cultura) e VII Senato (istruzione) Valutazioni sullo schema di decreto recante “Semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca”

A cura dell’Ufficio Politiche Contrattuali Pubblico Impiego

Roma, 29 settembre 2016
Lo schema di decreto, emanato in attuazione della delega legislativa contenuta nell’art. 13 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante “Semplificazione delle attività degli enti pubblici di ricerca”, recepisce i principi della Carta Europea dei Ricercatori e le migliori prassi internazionali del settore della ricerca ed interviene armonizzando in un unico provvedimento le diverse disposizioni vigenti e innovando la disciplina, sganciando le procedure per il funzionamento degli Enti Pubblici di Ricerca (EPR) della maggior parte di quelle delle Pubblica Amministrazione e accostandole a quelle delle Università.

Così esordisce la relazione illustrativa dello schema di decreto attuativo della delega Madia sugli EPR di fine agosto. Ebbene pur non entrando subito nel merito della nuova disciplina, è possibile sconfessare i contenuti di questo incipit con alcune considerazioni.
Dapprima con riguardo al recepimento dei principi della Carta Europea del Ricercatore possiamo dire che pochi sono i passi in avanti. Il decreto, infatti, si limita a farne un richiamo, rinviandone l’applicazione ai singoli enti attraverso modifiche statutarie e regolamentari. È evidente che così il recepimento sarà estremamente disomogeneo.
In secondo luogo, basta guardare l’ambito di applicazione della norma per far saltare subito all’occhio un’immotivata esclusione dall’elenco di parte del personale interessato dal decreto (in particolare quello destinato all’Anpal), persistendo di conseguenza una eterogeneità di disposizioni in materia.
Sull’autonomia, infine, che dovrebbe discendere dalla eliminazione per gli EPR dei vincoli previsti per la P.A., avremo modo di spiegare i motivi per i quali le disposizioni in esame non permettano ancora un adeguato assetto per gli istituti interessati.
Ciò detto, l’analisi dell’atto governativo suscita non poche perplessità che ci apprestiamo a rappresentare.
Vanno innanzi tutto fatti rilievi sul tetto delle spese per le assunzioni del personale a valere sui fondi ordinari trasferiti dallo Stato ai singoli enti, che viene fissato all’80% di un indicatore costituito da un numeratore pari alla somma degli assegni fissi per il personale calcolata al 31 dicembre dell’anno precedente e da un denominatore pari al fondo ordinario attribuito all’Ente nel medesimo esercizio. Qualora il limite de1l’80% venga raggiunto o superato al 31 dicembre dell’anno precedente, l’Ente non potrà procedere ad assunzioni sul fondo ordinario fino al momento in cui l’indicatore non torni al di sotto del tetto di spesa. Chi è sopra non assume, chi è sotto assume fino al raggiungimento del limite. Gli incrementi di personale saranno, nei limiti del tetto, in sostanza, irrilevanti.
Avremo così enti con margine ristretto o nullo di sostenibilità rispetto a1l’80%, per i quali le facoltà assunzionali saranno di fatto bloccate. Resta inoltre non chiaro se il turnover resta utilizzabile, come avviene oggi, anche per gli enti che si trovino sopra la media dell’80%. Ove così non fosse, anche il maggior ente di ricerca, il CNR, si troverebbe nell’impossibilità di assumere almeno per i prossimi 5-6 anni, situazione condivisa dai maggiori enti.
Le assunzioni sulla base del turnover devono restare garantite ed anzi per esso devono essere garantite nella misura del 100% per tutte le professionalità.
La norma infatti limita la possibilità di assumere personale tecnico-amministrativo al 30% delle spese per il personale. Questa norma non fornisce indirizzi da seguire ma fa “divieto di assumere”, sottraendo agli enti la capacità di autodeterminare persino i propri fabbisogni, nonché mettendo a rischio alcune migliaia di lavoratori precari il cui apporto è fondamentale per lo svolgimento dei processi di ricerca. Il rischio esuberi, pertanto, non è assolutamente un’eventualità da escludere.
Per le attivazioni di contratti di collaborazione, poi, si stabilisce la non applicazione del controllo preventivo, né si prevede alcuna agevolazione per la regolarizzazione dei contratti attivati con questa tipologia da amministrazioni che hanno dovuto sopperire al blocco decennale delle assunzioni. Nella norma non vediamo effetti positivi, anzi ci si pone in chiara contraddizione con quanto previsto dal D.Lgs. 81/15, che, all’art. 2, comma 3, prescrive il divieto a tutti i datori di lavoro pubblici di stipulare contratti di collaborazione dopo il 1 gennaio 2017.
Sempre nel rispetto del parametro dell’80%, si stabilisce per tutti, inoltre, l’incremento dal 3 al 10 per cento della possibilità di chiamata diretta (fuori dalle selezioni pubbliche), alterando irrimediabilmente il senso della definizione di “meriti eccezionali”.
Questo meccanismo di reclutamento è insostenibile. Se poi si aggiungono i vincoli preesistenti legati alle piante organiche e al turnover, si rischia addirittura il peggioramento di un quadro già patologico.
Per quanto sopra si può parlare di tutto meno che di semplificazione ed autonomia per gli EPR, che restano ingabbiati nelle politiche assunzionali in una sorta quasi di commissariamento.
A risicare ancor più le già modeste risorse si aggiunge la creazione di un “apposito fondo” destinato al finanziamento premiale dei piani triennali di attività o di specifici progetti proposti dagli enti. Siamo di fronte al paradosso che alla nascita di un fondo, che farebbe pensare a rigor di logica ad uno stanziamento di risorse aggiuntive utili al fine di destinazione, consegue invece un eguale e contrario taglio alle risorse per l’assunzione del personale. La costituzione di questo fondo, infatti, avviene per “riduzione” del fondo ordinario degli Enti. Si instaura, in sostanza, una competizione tra valorizzazione del merito e capacità assunzionali, prescindendo anche dal fabbisogno del singolo ente.
Si prevede la possibilità di istituire premi biennali in danaro per ricercatori e tecnologi, ai fini della valorizzazione del merito, nei limiti massimo del 0,5% della spesa complessiva per tutto il personale (compresi tecnici e amministrativi che non beneficerebbero però di tali premi) e del limite massimo annuale del 20% del trattamento retributivo. La norma non comporta nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, proprio perché le risorse risultano a carico delle disponibilità (alla voce spese per il personale) degli enti. Pertanto, oltre a crearsi una competizione tra ricercatori, che giustamente vogliono veder riconosciuta la loro professionalità, e l’eventualità, allorquando possibile, di allargare gli organici del dato ente, si spiana la strada al conflitto tra ricercatori/tecnologi e tecnici/amministrativi.
Ovviamente in questa premialità alcun passaggio è previsto con le organizzazioni sindacali: infatti le procedure per l’assegnazione dei premi sono affidate alla trasparenza, imparzialità e oggettività dei consigli di amministrazione.
L’ulteriore leggibile depotenziamento delle relazioni sindacali ben si inserisce nel contesto legislativo in esame, che sostanzialmente fa venir meno qualunque funzione, anche di mera consultazione, delle organizzazioni sindacali in materia di consistenza, di variazione dell’organico e del piano di fabbisogno del personale. In conclusione, anche sulla premialità lo schema di decreto non appare incisivo ed innovativo, disegnando un sistema che più che premiale appare punitivo, certamente ove si paragoni all’esistente in termini di risorse che non vengono incrementate ad hoc.
Alla luce di quanto premesso, la UIL ritiene irragionevoli i vincoli sul reclutamento stabiliti (80%, turnover di cui 30% per tecnici e amministrativi, punti organici/pianta organica) e, a tal fine, si vede costretta a ribadire, ancora una volta, che la modernizzazione di un qualsivoglia settore dello Stato non è perseguibile a invarianza della spesa.
Gli investimenti, invece, sarebbero fondamentali più che mai in un settore che non solo è condizionato oggi da una forte precarietà e dal blocco delle assunzioni e delle carriere, della contrattazione decentrata e nazionale, mentre invece avrebbe bisogno di nuovi e cospicui investimenti in considerazione del fatto che innovazione e ricerca sono motori di sviluppo ed progresso, necessari alla ripresa produttiva economica e sociale del Paese.
La scrivente organizzazione, pertanto, invita il Governo a reperire, nella vicina legge di stabilità, gli adeguati ed aggiuntivi finanziamenti non solo al fine di non inibire la capacità di reclutamento di nuovo personale degli enti di ricerca, ma anche al fine di prevedere subito meccanismi straordinari di stabilizzazione dei precari storici e successivamente un sistema ordinario di reclutamento a regime. L’inasprimento delle sanzioni imposte anche dall’Europa e la feroce riduzione di strumenti finalizzati al mantenimento in servizio del personale a tempo determinato, previsto tra l’altro da precedenti norme tutt’ora vigenti ma di fatto non praticabili, rischia di costringere gli enti a mettere alla porta personale a tempo determinato con anzianità elevate (oltre 10 anni), per i quali in assenza di possibilità assunzionali si profila solo il licenziamento. Personale che nel tempo ha sostenuto le attività delle istituzioni affiancando il personale di ruolo anche in mansioni diverse, in uno spirito di servizio che paradossalmente potrebbe penalizzarli ove essi fossero sottoposti a procedure comparative basate esclusivamente sui titoli di studio.
L’eccessiva frammentazione degli indirizzi conseguente alle numerose vigilanze da parte di Ministeri di riferimento (8 su 21 enti) contribuisce a non produrre politiche coordinate tra loro in termini di investimenti e progetti, con conseguente concorrenza “interna” tra enti che si sfidano a valere sulle stesse risorse. In un tale contesto la previsione di una mobilità dei ricercatori è una possibilità puramente teorica, che difficilmente potrà tradursi in prassi consolidata.
E’ necessario prevedere una cabina di regia condivisa, che possa avere la funzione di coordinare ed indirizzare gli enti, anche al fine di non vanificare gli sforzi di quanti eccellano nel procurare risorse. E’ indispensabile che il Sistema Paese riesca a velocizzare procedure e tempistiche propedeutiche alla effettiva messa a disposizione di risorse. E’ inderogabile dotare gli enti della possibilità di avere risorse disponibili e destinate a finanziare con continuità anche la ricerca di base, superando il limite del finanziamento pressoché esclusivo della cosiddetta ricerca “utile”, come continuiamo a sentirci ripetere negli enti.
Per la più volte richiamata criticità derivante dai tagli ai finanziamenti ordinari, ci sono enti che oggi si trovano ad avere il finanziamento ordinario che arriva al 100% del rapporto tra risorse ordinarie e spese per il personale. Ciononostante non può non evidenziarsi che detti enti sono in grado di sopravvivere garantendo spese di funzionamento, manutenzione ed altro grazie alla capacità di intercettare risorse. Una norma che ponesse il limite dell’80% condannerebbe un prestigioso ente come L’ENEA a sopravvivere per lustri, fino a che pensionamenti o decessi non consentano nuove assunzioni! Diventa evidente che la richiesta di rifinanziamento degli enti consenta a tutte le istituzioni di garantire un futuro alla ricerca, all’innovazione, alle generazioni presenti e future, nell’interesse primario del mantenimento prima e della crescita poi dell’intero Paese.

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