Per consuetudine e abito mentale consolidato, l’avvio di un nuovo Anno è occasione di bilanci su quanto è stato fatto e su quanto resta da fare o si intende ancora fare.
Un Ente pubblico di ricerca non può sottrarsi a questo bilancio, che è anche un consuntivo tra quanto previsto o dichiarato e quanto effettivamente realizzato. Di seguito, ne proponiamo una sintesi.
Lo Statuto CREA
Lo Statuto, per un EPR, rappresenta nel suo insieme un orizzonte normativo che definisce nel medio e lungo periodo un quadro di riferimento anche di indirizzo politico generale, necessario per dare stabilità ad un sistema complesso. Al contrario l’attuale confronto sulla revisione dello Statuto appare un tentativo fugace ed estremamente temerario in questa fase storica e politica, finalizzato ad operazioni disunite e prive di coesione.
In questo modo la genuina natura di Ente Pubblico di Ricerca (EPR) del CREA, può restare compromessa da norme le cui modifiche o integrazioni sono facilmente oggetto interpretazione e applicazione estemporanee.
Dall’altro, le modifiche finiscono per ridursi fondamentalmente a concretizzare tre interessi assai pratici:
- istituzione di una posizione di dirigente generale;
- reclutamento a tempo indeterminato degli operai agricoli con il contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) di natura privata, introducendo la variabile di rapporti di lavoro giuridicamente differenziati all’interno dell’Ente;
- previsione della obbligatorietà del parere del Consiglio scientifico con riferimento alla definizione dei criteri di valutazione dei ricercatori e tecnologi.
Tre “obiettivi” riformatori estranei alla missione istituzionale dell’Ente, che costituisce l’oggetto naturale e genuino della disciplina dello Statuto, mentre mirano a introdurre aggiustamenti gestionali perfettamente realizzabili tramite direttive dirigenziali o direttoriali.
La revisione dello Statuto non è dunque un conclamato avanzamento. È semmai un potenziale rischio per l’identità istituzionale dell’Ente. Nessun confronto nel merito è stato avviato dall’Ente.
La gestione degli immobili
La questione delle Sedi romane è stata oggetto di numerosi interventi delle Organizzazioni sindacali, che ritenevano fondamentale partecipare alla definizione delle scelte e non ricevere una mera comunicazione di quanto già disposto, con il solo intento di dare l’informativa dovuta.
Il CREA dopo oltre due anni di totale immobilismo, in seguito alla costituzione di un “tesoretto” derivante dalla cessione di beni di proprietà, ha abbandonato la Sede di Via Po.
La Presidenza, la Direzione generale, il Centro di ricerca “Politiche e Bioeconomia”, l’Amministrazione centrale sono stati redistribuiti in quattro Sedi diverse, con ripercussione sui Centri di Ricerca ospitanti.
La Presidenza ha ottenuto l’assegnazione di due distinte Sedi di rappresentanza: in Via della Navicella e in Via Barberini, riducendo ulteriormente i locali disponibili.
Gli Uffici dell’Amministrazione centrale sono stati disseminati tra Via Archimede, Via Barberini e Via della Navicella.
Il Centro di ricerca “Politiche e Bioeconomia” (CREA-PB) ha perduto la propria identità funzionale ed è privo di una Sede unitaria.
I dipendenti sono stati riassegnati secondo criteri variabili e comunque non uniformi: ad alcuni è stata consentita la scelta della Sede di destinazione; ad altri, è stata imposta.
Il Personale dell’Amministrazione centrale e di CREA-PB è stato collocato in locali sovraffollati, tuttora in corso di adeguamento all’uso, in spazi di lavoro ristretti.
Lo Smart working è stato ridotto (anche per il famigerato “intervento” ministeriale) ad uno strumento complementare alla indisponibilità di spazi e comunque subordinato alla prevalenza del servizio nelle Sedi, demolendone la funzione innovativa di modalità ordinaria di prestazione dell’attività lavorativa.
Le Sedi di Via della Navicella del Centro di ricerca “Agricoltura e Ambiente” (CREA-AA) e del Centro di ricerca “Alimenti e Nutrizione” (CREA-AN) sono state snaturate e compresse pur di realizzarvi il trasferimento dei dipendenti e dei materiali provenienti da altre Strutture. Anche il materiale in esubero è stato accantonato provvisoriamente in container.
Stupisce, pertanto, che tale congerie, la quale è letteralmente “pagata” dai dipendenti con costi ulteriori, disagio e mortificazione professionale, sia rivendicata come un successo (magari individuale), nel tentativo grottesco di conservare contestualmente un duplice ruolo davanti alla platea delle colleghe e dei colleghi.
In questa situazione di indubbia disorganizzazione, CGIL e UIL chiedono nuovamente e come già chiesto in precedenza:
- che ogni Centro e l’Amministrazione centrale mantengano l’unitarietà della propria Struttura;
- spazi di studio e lavoro in numero sufficiente e comunque idonei per i dipendenti, garantendo l’attività di laboratorio e lo spazio per le attività del personale non strutturato attivo sui progetti;
- l’ampliamento dello smart-working svincolato dalla necessità di garantire la turnazione nelle postazioni di lavoro.
La direzione dei Centri
La selezione dei Direttori di Centro ha prodotto un risultato ibrido, di conferma in alcuni casi e di ricambio o subentro in altri.
La valutazione dell’esperienza gestionale ha costituito un elemento di indubbio discrimine e tuttavia rappresenta una potenziale distorsione rispetto al ruolo che i titolari del vertice di Strutture di ricerca dovrebbero esercitare, comprimendone l’attività nella cassaforma di oneri e responsabilità amministrative o gestionali da cui avrebbero dovuto essere sollevati.
Attualmente l’organizzazione dei Centri multisede è ancora in via sperimentale, con ruoli non ben definiti se non tramite incarichi estemporanei, senza una definizione di ruoli e funzioni. Conseguenza di ciò è un carico di lavoro solo su alcuni soggetti, senza l’adeguata verifica che l’organizzazione del Centro sia funzionale e con un numero di addetti adeguato.
Il Personale
Pur apprezzando il recupero fatto a favore del personale Ricercatore e Tecnologo relativo alle progressioni passate e future, non possiamo dire lo stesso per il personale Tecnico amministrativo, molti dei quali superano i 10 anni di permanenza nel livello e che diventa la questione centrale non più rinviabile per la valorizzazione del personale.
Per quanto riguarda la stabilizzazione è necessario avviare quanto prima il confronto per la definizione delle relative procedure.
Infine, il Piano di fabbisogni del Personale, in un triennio l’Ente prevede di assumere un solo CTER, basterebbe guardare le previsioni di pensionamento del personale per rendersi conto dell’inadeguatezza di tale decisione.
FLC CGIL Giampiero Golisano |
Fed. UIL Scuola RUA Mario Finoia |