Facendo seguito a quanto concordato nella riunione del 3 maggio u.s , si riportano di seguito alcune osservazioni preliminari alla riunione tecnica del 18 p.v. sull’argomento in oggetto :
Premessa
Si ritiene che la percentuale fissata dal legislatore al 10% non rappresenti un obbligo ma un obiettivo minimo utile ad introdurre la cultura dello smart working nella PA., è evidente quindi che la proposta di porre limiti ostativi sia in termini di durata minima che di ripetitività del progetto, oltre a non poter essere condivisa, appare in contrasto con lo stesso spirito del legislatore.
Dal momento che l’attestazione della telelavorabilità dell’attività compete ai Responsabili non si comprende la necessità di ostacolare, attraverso bizantini periodi temporali di latenza/diniego/posticipazione, il legittimo diritto del lavoratore a svolgere la propria attività con modalità diverse non solo consentite ma addirittura auspicate dalla legge.
Se l’attività, per attestazione del diretto superiore è telelavorabile, svolgerla presso l’abitazione del richiedente non ne pregiudica i tempi e i modi di realizzazione e, pertanto, non si comprende perché impedire tale opportunità anche alla luce dell’obiettivo e non del limite posto alle amministrazioni .
In realtà la legge si prefigge di superare le eventuali resistenze delle amministrazione che l’ENEA sembrerebbe voler invece affermare attraverso l’introduzione di fantasiose restrizioni.
Paradossale che, dopo aver condiviso con le OO.SS., un regolamento sperimentale sul telelavoro che a detta dell’amministrazione nelle interlocuzioni con la Funzione Pubblica è stato giudicato innovativo, l’ENEA sembri essersi pentita, quasi spaventata e vorrebbe, nei fatti, tornare in una condizione di confort gestionale.
Si verrebbe a creare un situazione kafkiana: l’ENEA che riesce ad essere all’avanguardia nella pubblica amministrazione sul tema, raggiunge con anticipo l’obiettivo del 10% introdotto dal legislatore e, invece di rivendicare con orgoglio la strada intrapresa già nella fase sperimentale, si paralizza, quasi se ne vergogna. Costretta ad attivare gli altri strumenti di smart working introdotti dal legislatore (telelavoro breve e lavoro agile) ne limita però l’applicabilità e la loro portata innovativa e contemporaneamente con una incomprensibile norma transitoria punisce chi ha partecipato alla fase sperimentale sospendendoli per un anno, probabilmente al solo scopo di consentire una rotazione tra i richiedenti.
Se le attività sono tutte telelavorabili perché introdurre inique penalizzazioni?
Inoltre, risulta contraddittorio da una parte ridurre gli spazi logistici dei telelavoratori (concentrandoli in spazi comuni) e nel contempo introdurre limitazioni che ne riducano il tempo e la frequenza di permanenza in telelavoro. L’applicazione di tali norme determinerebbe continui riassetti logistici in ENEA e una precarietà nella definizione degli spazi negli appartamenti dei colleghi che magari hanno attrezzato parte del proprio alloggio per garantire la piena operatività della propria prestazione lavorativa.
Vogliamo sperare che questa proposta di regolamento rappresenti “una coda”, l’atto finale di una logica di gestione del personale improntata a limitare, ostacolare, impedire, frenare.
Vogliamo credere che il regolamento che sarà approvato dopo il confronto con le OO.SS. rappresenti , invece, il segnale del nuovo modo di applicare gli istituti contrattuali centrato sull’innovare, costruire, consentire, motivare, comprendere…
Illustrate sinteticamente le premesse generali, si riportano le principali richieste di modifica.
1. Durata del progetto:
• Se il progetto prevede una continuità di attività nel tempo, salvo richiesta esplicita da parte del dipendente, la durata è fissata nel progetto senza limitazioni; potranno essere previsti momenti di verifica durante il progetto e prevedere in quella fase eventuali sospensioni o rimodulazioni delle attività.
• In caso di progetto di telelavoro di Ente cioè richiesto dal Responsabile di struttura organizzativa la durata è legata allo svolgimento dell’attività e, pertanto, la durata del telelavoro è illimitata, salvo trasferimento o richiesta esplicita del dipendente di tornare presso la propria sede di lavoro.
• I responsabili di macrostruttura, redigono elenco delle attività telelavorabili, rivedibile a richiesta.
2. Sopprimere tutti i limiti temporali di durata massima e dell’intervallo minimo per accedere nuovamente all’istituto.
In subordine:
Devono essere derogati tutti i limiti previsti dal comma 3 dell’art. 5 nei seguenti casi:
• se il progetto di telelavoro è di Ente, cioè richiesto dal Responsabile di struttura organizzativa;
• lavoratori con invalidità civile, indipendentemente dalla percentuale posseduta;
significativo innalzamento della percentuale del 10% che non dovrà essere calcolata cumulativamente per tutti i diversi istituti di smart working (telelavoro annuale, telelavoro breve, lavoro agile) ma essere replicata per ognuno di essi .
La peculiarità degli strumenti è peraltro evidenziata dalla Direttiva 3/2017 PCM citata anche dal CUG.
3. In caso di diniego del progetto o di revoca del contratto di telelavoro (art. 8) prevedere la possibilità da parte del dipendente di presentare controdeduzioni alle motivazioni addotte dal Responsabile per il diniego/la revoca, prevedendo una specifica procedura di “raffreddamento” della possibile controversia con assistenza sindacale.
4. All’art. 19 viene citato il Piano per l’utilizzo del telelavoro che si ricorda essere mai stato presentato o illustrato alle OO.SS.
5. La norma transitoria dell’art. 35 va cancellata, essa sembra dettata esclusivamente da una logica di colpevolizzazione verso i colleghi che hanno partecipato alla fase di sperimentazione e disattende le previsioni della citata Direttiva 3/2017 PCM.
Marcello Iacovelli