La disposizione commissariale con cui si è proceduto alla adozione della “Nota di riorganizzazione dell’INVALSI” (disposizione 18/2012 del 04/04/2012) in effetti cita il regolamento, lo statuto e il piano triennale di attività, ma definisce tuttavia nuove disposizioni in materia organizzativa rispetto al quadro esistente, ritenendo il Commissario depositario di poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione sulla base del DPCM del 5 /5/2011 di commissariamento dell’Ente. Ma ad un’attenta analisi sorgono seri dubbi sul modo in cui si è operato, come già segnalato in sede di confronto. Cioè la disposizione in questione presenta forti dubbi sotto l’aspetto della legittimità, oltre alle evidenti difficoltà operative in cui ci si sta imbattendo quotidianamente.
Intanto sorge un problema di carattere generale: ma era necessaria una ristrutturazione di questo tipo nel momento in cui deve essere ridefinita la mission dell’istituto, anche in relazione ai nuovi compiti individuati dal Decreto Semplifica Italia, in materia di Coordinamento funzionale del SISTEMA NAZIONALE DI VALUTAZIONE? Non conveniva forse soprassedere in attesa del presumibile ampliamento dei compiti dell’Ente?
Più concretamente poi, sussistono problemi di carattere specifico. Innanzi tutto la nuova disposizione e la determina di nomina dei tre capi area non sono coerenti con quanto previsto dallo Statuto, all’art. 18, comma 3, che detta principi di organizzazione da adottare nel “nuovo” Regolamento, in cui si individuano chiaramente le tre macroaree a cui ci si deve attenere, che sono diverse da quelle adottate.
Analoga contraddizione si ha con il, “vecchio”, regolamento che è attualmente in vigore, visto che non ne è stato adottato uno nuovo ai sensi dello Statuto, che all’art. 3 individua ancora un’altra “Struttura”, che al massimo prefigurava l’esistenza di 2 Aree: l’Area Tecnica della Valutazione e l’area dei Servizi amministrativi e informatici.
Infine la struttura proposta non trova giustificazione neanche nel Piano Triennale di Attività, che prevedeva 4 + 1 aree tematiche e i servizi generali, per i quali è stato determinato il piano di attività e di fabbisogno economico ed umano.
La domanda è, ma con quale legittimità si è proceduto alla delibera e alla determina conseguente, visto che non si riscontra nessuna coerenza con gli strumenti di organizzazione e di programmazione a disposizione? Solo in presenza di modifiche statutarie e sulla base di un nuovo regolamento si sarebbe potuto procedere nel senso in cui ci si è mossi.
E ancora: ma nel momento in cui il PTA è già stato trasmesso al Ministero vigilante, che coerenza c’è tra questo e l’istituzione delle nuove aree?
E’ evidente che c’è un vizio di procedura nella disposizione commissariale, che può essere sanato solo con l’annullamento della disposizione stessa (e come conseguenza anche della successiva determina), e l’introduzione di un nuovo regolamento nel rispetto dei criteri previsti dallo Statuto.
Inoltre, la subdola riorganizzazione proposta, lascia intravedere diversi rischi in prospettiva:
· le macroaree si configurano come dei sotto-istituti, ciascuna delle quali al suo interno detiene “in piccolo” tutte le competenze: di ricerca, amministrative, tecniche, di supporto alla ricerca, ecc…; addirittura in una è stata posizionata anche la Biblioteca, una struttura che rende un servizio trasversale a tutto l’Istituto;
· il rischio di decentralizzazione dei servizi per tutti, non è auspicabile, vanificando anche l’obiettivo dell’ottimizzazione dichiarato nella riorganizzazione;
· il rischio di compromissione della funzione servente dei servizi trasversali perchè le diverse competenze finiscono per essere spezzettate nelle aree;
· la frantumazione che ne deriva finisce inevitabilmente per sovraccaricare alcuni lavoratori che, utilizzati su più aree per compiti differenti, assegnatigli in alcuni casi quotidianamente, si trovano così in condizioni di lavoro totalmente assenti di progettualità. Questo comporta, di conseguenza, il rischio di un progressivo demansionamento di alcuni lavoratori;
· l’obiettivo originario di favorire un decentramento corrisponde in realtà ad una ulteriore centralizzazione delle funzioni nelle aree e a un aumento della burocratizzazione a cui stiamo progressivamente assistendo. In questo modo, si va sempre più verso una eccessiva gerarchizzazione e un annullamento della libertà di ricerca dei singoli ricercatori, che rischiano, anche loro, il demansionamento ad un ruolo impiegatizio all’interno delle aree;
· le ricadute sotto il profilo organizzativo o delle mansioni sono molto insidiose. Sono già noti casi in cui è stato fatto presente pubblicamente ad alcuni CTER che si sono sempre occupati di attività di ricerca e di supporto (pulizia dei dati, supporto tecnico alle scuole, help desk, ecc.) che, in conseguenza della riorganizzazione, dovranno occuparsi prevalentemente di questioni amministrative vagheggiando illusori percorsi professionali migliori per il futuro. Oppure di tentativi di dividere per il futuro ricercatori dal profilo “vero”, a cui destinare compiti migliori, da quelli dal profilo meno robusto. Si rammenta al riguardo che non saranno tollerate operazioni di demansionamento del personale, le cui caratteristiche professionali sono chiaramente individuate dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro e non sono derogabili. Peraltro, questo comportamento disdicevole non è motivato da alcuna necessità organizzativa, vista la nota disponibilità al lavoro e alla collaborazione dei lavoratori dell’Ente, che va ben oltre il proprio orario, o tempo, di lavoro. Prova ne siano in numerosi casi in cui si è ricorso al lavoro domenicale, o extra, per il perseguimento di obiettivi, senza alcuna trattativa sindacale.
Se la creazione delle aree doveva razionalizzare e migliorare l’istituto sotto il profilo scientifico e favorire lo scambio di informazioni, ci sembra che lo strumento adottato non vada nella direziona giusta e non sia coerente con l’obiettivo di rafforzamento dell’Ente di ricerca, che pure la fase straordinaria di commissariamento aveva intrapreso. Anzi, la riorganizzazione appare ispirata da una visione burocratica e competitiva, che rischia di irrigidire la struttura di responsabilità, che non è tipica degli enti di ricerca dove gli assetti organizzativi sono improntati alla collaborazione e alla valorizzazione delle professionalità coinvolte; una riorganizzazione che non tiene conto delle specificità contrattuali proprie del settore, dove l’affidamento di incarichi di direzione di strutture tecniche scientifiche avviene sulla base dei curricula, e non del livello professionale superiore posseduto al momento della scelta; una riorganizzazione che non valorizza l’autonomia dei ricercatori e della ricerca.
Abbiamo sempre sostenuto che per rafforzare l’INVALSI, che opera in un settore tanto delicato come quello della valutazione, si deve procedere al rafforzamento degli aspetti organizzativi di un ente di ricerca, ma purtroppo la strada intrapresa non va nella direzione giusta. Sotto questo aspetto sarebbe stato più urgente completare il processo riformatore avviato con lo Statuto, procedere alla determinazione del nuovo Regolamento e alla realizzazione del Comitato Tecnico Scientifico.
Per concludere, risulta evidente che la questione è molto complessa.
Pertanto, le OO.SS. di categoria ritengono necessario un ripensamento, anche alla luce delle prime ricadute sulle condizioni di lavoro, e una maggiore cautela da parte dell’amministrazione, visti i dubbi di legittimità su cui poggia la riorganizzazione; nonché i numerosi problemi di carattere contrattuale che si vanno evidenziando.
Per questo è necessario arrestare la macchina prima che sia troppo tardi e avviare un processo di discussione ampia, trasparente e democratica fra tutti i lavoratori dell’Istituto. In questo senso rivolgiamo un appello ai vertici dell’Istituto per evitare che si arrivi ad uno scontro insostenibile e dannoso.
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