Lo scorso 28 gennaio il Parlamento ha approvato il disegno di legge sul “lavoro agile”. Si tratta di un traguardo significativo, un passo avanti nel processo di promozione dello Smart Working.
Eliminiamo subito un primo dubbio: lo Smart Working non è il Telelavoro bensì uno degli strumenti che consentono di aumentare la flessibilità sul lavoro ed agisce, in particolare, sul doppio fronte dell’orario e della sede.
L’obiettivo di tutti questi strumenti è costruire modelli di organizzazione del lavoro innovativi che consentano di conciliare la propria vita professionale con quella familiare (tema da tempo presente come oggetto di analisi e conseguentemente di denuncia di questo istituto – vedi conciliazione tempi di vita e lavoro) ma che fatica ad essere oggetto di considerazione all’interno di Istat quando si parla di riorganizzazione.
Il miglioramento del benessere di lavoratrici e lavoratori, oltre a incidere direttamente sui singoli, ha anche un effetto indotto sulla collettività, perché è provato che negli ambienti in cui si lavora bene aumenta l’efficienza interna. Principi, che, se applicati anche in Istat, consentirebbero di mitigare gli effetti di ripetute riorganizzazioni e trasferimenti decisi senza una reale condivisione (se non auspicabilmente una concertazione) con le rappresentanze dei lavoratori, oltre che ai risparmi sulle locazioni.
Anche lo Smart-working può rappresentare, dunque, un’occasione straordinaria per disinnescare l’impatto che riorganizzazione e trasferimenti stanno comportando per i lavoratori di questo istituto.
Le intenzioni del legislatore nell’emanare la normativa sullo smart working esprimono la chiara volontà all’adozione di un’organizzazione del lavoro che apra alla maggiore flessibilità e responsabilizzazione della dirigenza nella gestione rapporto di lavoro.
Del resto già la riforma “Madia” della Pubblica Amministrazione – approvata lo scorso agosto[1] in cui all’art. 14, nel quadro della “Promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro nelle amministrazioni pubbliche”, si chiede di adottare misure organizzative per “l’attuazione del telelavoro e per la sperimentazione … di nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa che permettano, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi di tali modalità, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera.” – aveva aperto a tale possibilità.
A dispetto della scarsissima diffusione attuale nel settore pubblico, dunque, lo Smart Working nella PA e in Istat non solo può ritenersi possibile ma chiediamo che diventi un obiettivo da raggiungere in tempi brevi.
Il principale fattore di resistenza appare risiedere nella cultura burocratica italiana caratterizzata dal desiderio di controllo del personale, e dall’incapacità dell’alta dirigenza di programmare le attività.
Per rendersi poi conto di quanto pesante sia la realtà della PA oggi e di come anni di tagli abbiano reso ineludibile una svolta organizzativa e culturale bastano questi pochi dati oggettivi (Fonte: Osservatorio Smart Working, Politecnico di Milano 2016):
– i dipendenti della PA in Italia sono stimati in 3.300.000, circa 58 ogni 1.000 abitanti contro i 94 della Francia i 92 del Regno Unito e addirittura i 135 della Svezia;
– complice il lungo blocco del turnover, si è elevata la loro anzianità: è preoccupante l’età media del lavoratore a 50 anni, gli under 35 sono solo il 10% contro il 30% della Francia e il 35% del Regno Unito (mentre in Italia il fenomeno del precariato e del sottoinquadramento conseguenza anche dei blocchi contrattuali, è in ESPLOSIONE!);
– nonostante la seniority, le retribuzioni sono basse sia in assoluto che in rapporto al nostro PIL: pesano oggi l’11,1% del PIL contro il 13,4% della Francia e il 19,4% della efficientissima Danimarca;
– i dipendenti pubblici costano sette miliardi in meno del 2015, 120 miliardi meno che in Francia e 75 miliardi meno che nel Regno Unito (Fonte: Repubblica – http://www.repubblica.it/economia/2016/05/24/news/pubblica_amministrazione_impiegati-140502675/).
Oggi dunque, a dispetto dei tanti falsi miti, i dipendenti della PA in Italia sono pochi, anziani e mal pagati.
In Istat poi la modernizzazione sta aumentando i fattori di stress per i lavoratori, col la “ciliegina” della mole di trasferimenti che di qui a poco 1.107 persone dovranno “eseguire”.
In virtù di tutte queste considerazioni (e molte altre ve ne sarebbero) chiediamo all’amministrazione di attivare con immediatezza un confronto sulle modalità di utilizzo dello Smart Working in Istat.
[1] Legge 7 agosto 2015, n.124, art.11: http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/08/13/15G00138/sg
UIL RUA ISTAT