tratto da www.repubblica.it
L’INTERVISTA “I nuovi tagli ci soffocano da gennaio fermerò l’Istat”
Il presidente Enrico Giovannini: il governo nega il nostro ruolo di scienziati dello Stato. I miei numeri a Bondi: Forniti al commissario dati su dati per la sua spending review. Ora rilancio: un censimento l’anno se avrò i mezzi
di VALENTINA CONTE
ROMA – “Dal prossimo primo gennaio non effettueremo più statistiche. Continueremo a pagare stipendi e affitti, ma non riusciremo ad assolvere alla nostra funzione: fornire dati di qualità, affidabili, tempestivi”. Enrico Giovannini è molto preoccupato per il futuro dell’Istituto di statistica che guida dall’agosto del 2009. “Un problema che va oltre le nostre capacità”.
Presidente, perché questo allarme?
“Il taglio ai finanziamenti mette l’Istat realmente a rischio. Nel 2013 si scenderà dai 176 milioni del 2011 a 150-160 milioni. Metà delle risorse francesi. Un terzo dei Paesi nordici. Andiamo verso un buco di 20 milioni. Insostenibile”.
Tagli del passato?
“La legge di Stabilità di novembre ci ha tolto 29 milioni in tre anni. E ora la spending review altri 3 milioni l’anno”.
Deluso dai professori al governo che sacrificano la ricerca?
“
Mi sarei aspettato un maggiore riconoscimento della funzione essenziale della statistica quale Scienza dello Stato, come vuole la sua etimologia. Invece…”.
Invece?
“Le richieste aumentano, noi produciamo di più, ma le risorse sia umane che di bilancio calano. Vorrei ricordare che il 70% del nostro output deriva da obblighi presi con l’Unione europea”.
Cosa succede allora a gennaio?
“Non daremo più dati
su inflazione, contabilità, condizione di vita delle famiglie, forza lavoro. E allora scatterà il tassametro Ue: multe salatissime sul Paese per ogni giorno di ritardo. Non penso che il governo e il Parlamento vogliano arrivare a tanto”.
Sembra arrabbiato.
“Diciamo fiducioso. L’ora delle scelte è da qui a ottobre, quando si farà la Finanziaria”.
Conta su una retromarcia di Monti?
“Com’è successo altre volte, occorrerà affrontare la nostra fragilità di bilancio. Ma il ritardo si paga comunque. Le statistiche non nascono sugli alberi. Vanno pianificate”.
Sembra un ribelle della spending review.
“Tutt’altro, se vista come l’inizio di un processo per guadagnare efficacia e risparmi. Ma noi i compiti a casa li abbiamo fatti, tagliando il possibile, dalla carta all’accorpamento di uffici, al passaggio al digitale. E poi l’Istat ha lavorato moltissimo con il commissario Bondi, fornendo cifre su cifre”.
Si può sacrificare la ricerca?
“Sì, se non porta a niente. Errore clamoroso se è essenziale”.
Come quella prodotta dall’Istat?
“Abbiamo intercettato un cambiamento epocale. C’è una domanda enorme dei cittadini di verità e di fatti per superare il bla-bla di dibattiti sterili. Il 76% degli italiani si fida dell’Istat”.
Fiducia ben riposta?
“Produciamo 300 comunicati, un quarto in più in due anni. Oltre alle stime ufficiali, nel primo semestre già 2 mila dossier di “microdati”, mirati a enti locali, ricercatori, università, contro i 1.500 di tutto il 2011. Registriamo un boom di accessi al sito e di gigabyte scaricati. Letteralmente esplosi, poi, i contributi a trasmissioni radio e tv, interviste ai media”.
Come mai, secondo lei?
“Siamo passati dal retroscena alla scena. Gli italiani vogliono capire come cambia la loro vita. E l’informazione è diventata finalmente più accurata, a livello europeo con dossier e approfondimenti”.
Ma il censimento, però, lo fanno 419 precari, il 17,5% della forza lavoro Istat.
“Precari di altissima qualità, con dottorati e master, che hanno superato un concorso. Motivo ulteriore di preoccupazione, visti i tagli. Per questo dico, investiamo in conoscenza per crescere. E rilancio: l’Istat è pronta a fare un censimento ogni anno, anziché dieci, spalmando il relativo costo. Per avere dati ancora più territoriali e ricchi. Ma basta tagli. Abbiamo bisogno dei ricercatori”.